Gerardo Canfora, Rettore Unisannio
Il 5 dicembre 1484 papa Innocenzo VIII promulgava la bolla «Summis Desiderantes Affectibus», creando i presupposti per quella che sarebbe ben presto diventata la caccia alle streghe. Nei secoli a seguire i processi per stregoneria avrebbero provocato migliaia di vittime in tutta Europa. Le cronache ci dicono che l'ultima condanna per stregoneria è stata quella di Anna Goeldi, morta decapitata il 13 giugno 1782.
Ma la caccia alle streghe non è mai finita.
Troppe le donne che ancora rischiano la vita per un velo indossato male, o perché vogliono poter scegliere la persona con cui costruire il proprio futuro. Troppe quelle perseguitate per aver rivendicato il diritto all'istruzione, un posto nella società.
Troppe le ragazze che devono aver paura di rientrare a casa da sole dopo una serata in discoteca, perché un vestito sbagliato (ma sbagliato per chi?) può far sentire un uomo autorizzato alla molestia e allo stupro. Troppe le donne, spesso mogli e fidanzate, che pagano con la vita la loro aspirazione ad essere se stesse, vittime di uomini tanto violenti quanto insicuri.
Per quanto oggi non ci siano più gli autodafè, sono ancora troppe le donne perseguitate. Perché la violenza sulle donne assume diverse forme, che vanno oltre quella fisica. Come ci ricorda la convenzione di Istanbul, esiste la violenza sessuale, quella psicologica e quella economica. Oggi la caccia alle streghe si realizza anche attraverso l'umiliazione, la svalorizzazione, il controllo, l'intimidazione, la dipendenza economica.
Il fenomeno ha origine culturale e sociale. Il seme della violenza sta negli stereotipi di genere, nei pregiudizi, nell'uso di un linguaggio discriminatorio. E ci riguarda tutti da vicino, senza alibi o false scorciatoie.
Una recente indagine condotta su un campione di studentesse e studenti di scuole secondarie di Benevento e provincia ha evidenziato il persistere di schemi predefiniti di comportamento e socializzazione che distinguono nettamente i ruoli di maschi e femmine, perpetuando una relazione di genere che assegna un primato sociale all'uomo rispetto alla donna.
Su questo terreno, le Università, luoghi di formazione e ricerca, di crescita e di socializzazione, possono fare molto per impedire che le donne siano trasformate in streghe dal persistere di una mentalità patriarcale e sessista.
Noi di Unisannio siamo in prima linea, con atti concreti. Come la recente approvazione di linee guida per il linguaggio di genere, che mira a prevenire casi di uso discriminatorio del linguaggio. L'istituzione della carriera-alias, il protocollo che consente a tutti i nostri studenti di vedersi riconosciuta un'identità diversa da quella anagrafica in tutti gli atti ed i procedimenti interni all'Ateneo. La sottoscrizione con la Rai del memorandum «No Women No Panel», che mira a promuovere e valorizzare la presenza femminile nei momenti di dibattito pubblico. La redazione di un bilancio di genere, parte integrale del nostro bilancio sociale, che descrive e analizza le azioni e le scelte dell'Ateneo in ottica di genere. Il contributo dato alla progettazione e realizzazione del corso di alta formazione sulla violenza domestica e di genere promosso dalla Procura di Benevento.
Soprattutto, siamo impegnati, in tutte le nostre attività, a promuovere e alimentare una cultura inclusiva e paritaria, che mira a valorizzare le differenze, piuttosto che a farne elemento di sopraffazione, superando preconcetti e chiusure mentali.
La consapevolezza è il primo passo per sconfiggere violenza e discriminazioni di genere, e le Università sono i luoghi dove coltivarla in modo profondo e duraturo. Un lavoro lungo, i cui risultati si vedranno solo nel tempo. Ma non abbiamo alternative: l'unico modo per non avere più streghe al rogo è imparare a non confondere la ricerca della libertà, e di una propria identità, con la stregoneria.